La situazione economica del Paese ha acuito il problema delle professioni giuridiche, troppo spesso legate all’incerto esito dei Concorsi pubblici, i quali non possono (né devono) assumere il ruolo spiccatamente carrieristico generalmente riconosciuto al mondo delle libere professioni e del libero mercato.
Eppure, una economia meno florida e forse una certa inflazione dell’offerta professionale hanno reso poco ‘appetibile’ la strada della “partita IVA”, facendo virare le speranze di tanti giovani neolaureati in giurisprudenza verso “la Mecca” dei concorsi, apparentemente più sicura, ma che soffre di incertezze, della sensazione di inafferrabilità del futuro e dei correlati costi economici per supportare gli studi che condizionano le vite di molte famiglie e le speranze di tanti validi giovani.
Già queste circostanze imporrebbero di ripensare alle modalità di accesso alle professioni giuridiche.
Ad offrire un ulteriore assist in tal senso è l’approvazione alla Camera delle c.d. lauree abilitanti. Ci si chiede dunque se non sia il caso di cogliere l’occasione per abbreviare l’età di ingresso al mondo del lavoro dei nostri laureati in Giurisprudenza e prevedere percorsi meritocratici e differenziati di selezione delle professionalità giuridiche richieste dal mercato.
Mi spiego meglio.
È innegabile che la domanda di giuristi del mercato sia diventata più variegata rispetto all’originario ed esemplificativo trittico Avvocatura – Magistratura – Notariato.
Oggi le aziende si confrontano con figure quali il DPO, il compliance officer, il consulente legale. La stessa Avvocatura sta compiendo il definitivo passo verso le specializzazioni (civilista, penalista, tributarista, amministrativista ecc…). Esiste poi l’area dei Concorsi pubblici che richiedono ulteriori skills da affinare e approfondire in modo specifico e assorbente.
È altresì evidente che generalmente il percorso universitario della laurea magistrale a ciclo unico in giurisprudenza offra agli studenti volenterosi una profonda e trasversale conoscenza giuridica, lasciando poi alle Scuole di Specializzazioni, Master, Tirocini, Pratica forense e Corsi privati la preparazione specifica rispetto alla sfida professionale da affrontare.
Tuttavia, questo percorso oggi si scontra con l’incertezza del futuro e la fluidità del mercato, che portano comprensibilmente molti neolaureati a scommettrere su più ‘tavoli’ in attesa di trovare il loro ‘posto’. Un esempio emblematico è offerto dal numero di aspiranti avvocati che, pur acquisendo il titolo di Avvocato all’esito dell’esame, non hanno interesse a intraprendere quel tipo di carriera, perché indirizzati verso il mondo dei concorsi, ma che – comprensibilmente - si preparano ad ogni eventualità futura, abilitandosi alla professione forense.
Detto approccio finisce però per intasare l’area dei concorsi pubblici e quella delle libere professioni, con le distorsioni note a chi frequenta entrambi i settori.
La proposta che di seguito si intende formulare mira, dunque, a tre principali obiettivi: abbreviare l’età di ingresso nel mondo del lavoro dei laureati in giurisprudenza; garantire una preparazione professionale su misura rispetto alla sfida professionale prescelta; disciplinare il flusso di partecipanti a concorsi ed esami abilitanti.
A tal fine, si potrebbe prevedere un percorso formativo universitario comune per tutti della durata di 3 o 4 anni, all’esito del quale ciascun candidato possa scegliere il proprio percorso formativo-professionale, erogato sempre dalle Università di concerto con aziende, Studi Legali, PA e autorità di riferimento, della durata di 1 o 2 anni. Esemplificativamente, si potrà scegliere la strada dell’Avvocatura, della preparazione per il Concorso in Magistratura, del Legale di Impresa e così via. Detto percorso didattico-professionale dovrà includere nel piano formativo la pratica forense per l’aspirante avvocato, il tirocinio per l’aspirante magistrato, lo stage presso le aziende per il legale d’impresa ecc…
In tal modo, si anticipa durante il percorso universitario la preparazione professionale dei candidati.
All’esito del percorso formativo-professionale, lo studente che avrà optato per il modulo “Avvocatura”, potrà sostenere l’esame abilitativo per la professione di avvocato; quello che avrà scelto “Magistratura” sosterrà il concorso per l’accesso alla Magistratura; il “Giurista d’impresa” inizierà a lavorare presso una delle aziende che ha contribuito a formarlo.
Ovviamente, verrebbe garantita allo studente che dovesse cambiare idea in corso d’opera la possibilità di scegliere una diversa professione giuridica, iscrivendosi al relativo percorso formativo-professionale, seguirne l’iter e sostenere l’esame o il concorso di riferimento. In tal modo, si eviterebbe l’affollamento indiscriminato (che sappiamo quanto possa incidere sulle capacità organizzative e forse anche sulla qualità valutativa degli elaborati) di esami e concorsi, potendo prevedere il numero di aspiranti avvocati, aspiranti magistrati, aspiranti notai ecc… sulla base degli iscritti al corso formativo-professionale dell’anno o del biennio in considerazione. Si ritiene infatti che un numero più gestibile di candidati e una preparazione specifica e rispetto all’obiettivo prefissato possano aumentare le chance di successo e la meritocrazia della selezione. Verrebbe altresì preservata la possibilità di cambiare percorso laddove l’imprevedibilità della vita o la mutevolezza delle ambizioni lo imponesse, seguendo l’iter formativo previsto per la professione giuridica prescelta.
Ne sono consapevole: quella proposta è una bozza di idee che possono sicuramente essere migliorate, ma che credo possano rappresentare una base di partenza per una discussione non più rimandabile su un tema di vitale importanza: il futuro professionale dei nostri neolaureati.
Avv. Fabio Coppola, PhD
Presidente di Scuola Giuridica Salernitana
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