di seguito uno stralcio della pronuncia
(a cura di Davide Fricchione)
“(…) Essendo oggetto del ricorso la proroga del regime differenziato dettato dall'articolo 41-bis Ord. pen., il controllo di legittimità è limitato alla violazione di legge, sicché il sindacato della Corte non può estendersi al controllo dell'iter giustificativo della decisione, a meno che questo sia del tutto mancante o apparente. (…) Correttamente il Tribunale di sorveglianza capitolino ha, in particolare, ricordato che la proroga del regime detentivo differenziato di cui all'articolo 41- bis Ord. pen. può essere disposta ove sia stato accertato che la capacità del condannato di tenere contatti con l'associazione criminale non sia venuta meno, tenuto conto di una serie di indicatori sintomatici dell'attualità del pericolo di collegamenti con l'esterno, indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis del citato articolo e non necessariamente sopravvenuti, quali: il profilo criminale del soggetto, la posizione dal medesimo rivestita in seno all'associazione, la perdurante operatività del sodalizio e la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, anche considerata l'assenza di elementi di fatto dimostrativi di un sopravvenuto venir meno di tale pericolo. (…) Il Tribunale di sorveglianza non solo ha esaminato tali rilievi difensivi, ma ha anche dato ad essi risposte plausibili, affermando come l'internato, pur non rivestendo posizioni autenticamente apicali, fosse, comunque, molto vicino al capo indiscusso del sodalizio, al quale era legato, oltre che da un rapporto di parentela, da una relazione strettamente fiduciaria; riconoscendo che il duplice omicidio costituiva un semplice carico pendente, dando atto anche dall'annullamento con rinvio disposto da parte della Corte di cassazione; evidenziando come l'attuale operatività del clan emergesse da plurimi elementi di fatto, rispetto ai quali il ricorso non ha saputo offrire specifici elementi in grado di confutarne la rilevanza argomentativa, limitandosi a richiamare indimostrate circostanze di fatto o a suggerire conclusioni nella sostanza ipotetiche. (…) 5. Se alla misura di sicurezza appare estranea, quantomeno in via di principio, la funzione retributiva, ad essa appartiene, invece, pienamente e indefettibilmente quella di risocializzazione, che costituisce, nella prospettiva de primato della persona umana (articolo 2 Cost.), il significato proprio che deve essere attribuito alla parola "rieducazione". Infatti, per gli internati imputabili, cui per ragioni di sintesi è bene circoscrivere la presente disamina, il trattamento previsto consiste in misure "risocializzanti" realizzate attraverso interventi "rieducativi" degli operatori penitenziari (educatore, psicologo, criminologo ecc.), di sperimentazione esterna (licenze trattamentali e finali di esperimento), interventi di sostegno esterno da parte dell'Uepe (su famiglia, lavoro, ambiente sociale in genere). (…) E, proprio in ragione delle differenze, che tuttora permangono, sul piano dei presupposti che ne legittimano l'applicazione, della natura e degli scopi, l'ordinamento penitenziario ha previsto la realizzazione di istituti (o di sezioni di istituti) dedicati all'esecuzione delle misure di sicurezza, i quali devono essere distinti da quelli per l'esecuzione della pena (v. articoli 62 e 64 Ord. pen.). E per la stessa ragione, l'ordinamento contempla delle differenze che, attengono, in particolare, alle misure extramurarie applicabili alle due tipologie di sanzione penale, come nel caso della cd. licenza finale di esperimento ex articolo 53, comma 4, Ord. pen., prevista solo per le misure di sicurezza, in relazione alle quali non sono invece concedibili permessi premio, o nel caso della applicazione della semilibertà, unica misura alternativa prevista per gli internati e che soltanto per loro può essere disposta «in ogni tempo» (articolo 50, comma 2, periodo 2, Ord. pen.) e non dopo l'espiazione di una determinata quota della pena, come invece avviene per i detenuti. (…) La circostanza che il comma 2-quater faccia riferimento, nel primo periodo, ai soli «detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione», statuendo che essi «devono essere ristretti all'interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all'interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell'istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria», non significa che la previsione del periodo successivo, che dalle lettere da a) a t), definisce il concreto contenuto del regime differenziato, non si applichi anche agli internati. (…) Ne consegue che in caso di assoggettamento al regime differenziato, la piattaforma trattamentale finisce con l'essere, da un punto di vista strettamente normativo, sostanzialmente uniforme per i detenuti e gli internati sottoposti al regime dell'articolo 41-bis Ord. pen.; e ciò riguarda anche il piano delle misure extramurarie, naturalmente precluse ai soggetti sottoposti al regime differenziato in ragione della impossibilità, per costoro, di avere contatti con l'esterno, se si eccettuano i difensori e, con moltissime cautele, i familiari più stretti. (…) La sottoposizione al regime dell'articolo 41-bis Ord. pen. di un internato in misura di sicurezza detentiva altera, così, anche il fisiologico meccanismo delle proroghe, non consentendo al sottoposto di accedere alle misure volte a un graduale reinserimento e ostacolando, ontologicamente, gli ordinari elementi del trattamento (tra cui i frequenti contatti con l'ambiente familiare), per questa via consentendo la sottoposizione dell'internato a una sanzione restrittiva di durata tendenzialmente indeterminata (ancorché determinabile, come detto, nella sua massima estensione). Ciò in quanto la proroga della misura di sicurezza tendenzialmente conduce alla proroga dell'articolo 41-bis Ord. pen. e viceversa, secondo una relazione di reciproca interferenza”.
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