di seguito uno stralcio della pronuncia
(a cura di Ilaria Romano)
“2.1. La prima doglianza è infondata, e comunque generica, nella parte in cui sostiene che la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 216 del 2017 debba fornire le coordinate ermeneutiche per vagliare la legittimità delle intercettazioni svolte in questo procedimento.
Giova al riguardo osservare che la predetta novella non trova applicazione al caso di specie, in quanto, ai sensi del D.Lgs. n. 216 del 2017, art. 9 come ripetutamente modificato - da ultimo dal D.L. 30 aprile 2020, n. 28 -, la nuova disciplina trova applicazione ai procedimenti penali iscritti dal 1 settembre 2020.
In virtù del principio tempus regit actum, invece, alle intercettazioni per procedimenti iscritti anteriormente a questa data - quale è quello in esame -, si applicano le regole già in vigore, le cui coordinate ermeneutiche sono state chiarite dalla giurisprudenza di questa Corte, ed in particolare dalle Sezioni Unite "Scurato", che ha legittimato l'utilizzo del captatore informatico nei processi per reati di criminalità organizzata, affermando il seguente principio: "L'intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante l'installazione di un captatore informatico in un dispositivo elettronico è consentita nei soli procedimenti per delitti di criminalità organizzata per i quali trova applicazione la disciplina di cui al D.L. n. 151 del 1991, art. 13, convertito dalla L. n. 203 del 1991, che consente la captazione anche nei luoghi di privata dimora, senza necessità di preventiva individuazione ed indicazione di tali luoghi e prescindendo dalla dimostrazione che siano sedi di attività criminosa in atto" (Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, Rv. 266905).
Nel caso in esame, il procedimento riguarda i reati di "criminalità organizzata" di cui all'art. 416 bis c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, sicchè deve ritenersi legittimo l'utilizzo del captatore informatico anche in luoghi di privata dimora.”
“2.5. Le doglianze concernenti la motivazione relativa all'indispensabilità ed alla postulata necessità di una motivazione rafforzata sulle ragioni del ricorso al captatore informatico sono infondate.
E', innanzitutto, priva di pregio l'argomentazione del ricorrente secondo cui l'esigenza di una specifica motivazione relativa a tale presupposto sarebbe sancita dalle Sezioni Unite "Scurato", giacchè quest'ultima pronunzia si è limitata a rimarcare la necessità di un'adeguata e compiuta motivazione del provvedimento autorizzativo nel suo complesso, senza ricollegare uno specifico onere argomentativo all'utilizzo del captatore (p. 10.1.: "Deve dunque ritenersi che - in relazione a procedimenti di criminalità organizzata, una volta venuta meno la limitazione di cui all'art. 266 c.p.p., comma 2, per quel che riguarda i luoghi di privata dimora - l'installazione del captatore informatico in un dispositivo "itinerante", con provvedimento di autorizzazione adeguatamente motivato e nel rispetto delle disposizioni generali in materia di intercettazione, costituisce una delle naturali modalità di attuazione delle intercettazioni al pari della collocazione di microspie all'interno di un luogo di privata dimora").
Nè l'esigenza di una particolare motivazione quanto all'impiego del captatore informatico emerge dalla legislazione applicabile alle intercettazioni utilizzate nei confronti di (…).
Non trova, infatti, applicazione al presente procedimento l'art. 267, comma 1, come modificato dal D.Lgs. n. 216 del 2017 e segg., circa la necessità di indicazione delle "ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini", giacchè, come sopra ricordato, a norma del D.Lgs. n. 216 del 2017, art. 9 (come ripetutamente modificato, da ultimo dal D.L. 30 aprile 2020, n. 28), la nuova disciplina trova applicazione ai procedimenti penali iscritti dal primo settembre 2020; in virtù del principio tempus regit actum, invece, alle intercettazioni per procedimenti iscritti anteriormente a questa data, si applicano le regole precedentemente in vigore, che, nel caso di utilizzo del captatore informatico per intercettazioni autorizzate per reati di criminalità organizzata, non prevedeva una motivazione rafforzata quanto alle ragioni del ricorso a tale modalità captativa (…).”
“3.2. Le doglianze concernenti la partecipazione di (…) al sodalizio criminale sono in ogni caso estremamente generiche, per l'assertività ed il tenore meramente contestativo.
La ricorrente sostiene, infatti, che la sua partecipazione non sia desumibile dal materiale probatorio, e che sarebbe stata erroneamente desunta da una errata interpretazione e valutazione delle conversazioni intercettate.
Ebbene, nel rammentare che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), giova altresì ribadire che, in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670, che, in motivazione, ha osservato che la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purchè si tratti di indizi gravi e precisi, tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l'affiliazione rituale, l'investitura della qualifica di "uomo d'onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi "facta concludentia"), e che, comunque, ai fini dell'integrazione della condotta di partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso, l'investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica ma unitaria degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all'interno dello stesso che emergono emergere anche da significativi "facta concludentia" (Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, Capraro, Rv. 273571). (…)”
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