Le (in)finite sfaccettature dell’autonomia negoziale: patto commissorio, patto marciano e pegno irregolare alla luce di una recente pronuncia della Cassazione.
Cass. civ., Sez. 3, 17 gennaio 2020, n. 844.
(A cura di Remo Trezza)
Sommario: 1.Il caso. – 2.La sentenza ricorsa per cassazione e i motivi di ricorso. – 3.L’argomentazione giuridica della Corte di legittimità. – 4.La parte centrale dell’argomentazione: la funzione del patto commissorio e del patto marciano e il pegno irregolare (art. 1851 c.c.) come norma eccezionale. – 5.Il precedente della Corte (Cass. n. 1625/2015) e la risoluzione del caso. – 6.Il principio di diritto. – 7.Brevi conclusioni. – 8. Riferimenti bibliografici, giurisprudenziali e legislativi di sistema.
Il caso.
Tizia ha acquistato la proprietà di un immobile da Caio, con contestuale contratto di comodato a favore di quest’ultimo al fine di consentirgli di abitare con la moglie nell’immobile appena alienato. La vendita è stata accompagnata da alcune previsioni specifiche. Intanto le parti hanno previsto che Caio, ossia l’alienante, si impegnava oltre che a pagare il residuo mutuo, il cui pagamento era garantito da fideiussione dell’acquirente, altresì a pagare un debito che aveva contratto con il figlio di quest’ultima. Era previsto che in caso di avvenuto pagamento del debito l’acquirente aveva l’obbligo di ritrasferire il bene; viceversa, in caso di debito non adempiuto, l’acquirente aveva diritto a vendere il bene, e previa stima del valore, a corrispondere al venditore la differenza tra il valore dell’immobile ed il debito rimasto ancora da pagare. Poiché l’alienante è rimasto inadempiente, l’acquirente ha messo, come d’accordo, l’immobile in vendita, e ne ha richiesto la restituzione. Ha dunque agito in giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile, che, a titolo di comodato, l’alienante e la sua famiglia continuavano a detenere. Il Tribunale, in primo grado, ha rigettato la domanda ritenendo simulata l’intera operazione negoziale, sia per difetto di prova del pagamento del prezzo, sia perché il godimento era rimasto all’alienante. La Corte d’appello ha smentito la tesi della simulazione ed ha rilevato la nullità del contratto di comodato, per difetto di trascrizione. Avverso la sentenza del giudice di appello, Caio ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione.
La sentenza ricorsa per cassazione e i motivi di ricorso.
La ratio della sentenza del giudice di appello è che le parti hanno concluso una vendita con funzione di garanzia. Quelli che dal giudice di primo grado erano ritenuti elementi indiziari della simulazione (ossia difetto di corrispettivo, detenzione rimasta all’alienante, ecc.) sono stati, invece, dalla decisione di secondo grado intesi come indizi della funzione di garanzia dell’alienazione, alla quale accede il comodato. Si tratta dunque di una operazione effettiva e non simulata, solo che il comodato difetta di trascrizione ed è nullo ai sensi dell’art. 1, co. 346, l. n. 311 del 2004 (finanziaria del 2005). La domanda iniziale dell’attrice era semplicemente di restituzione del bene concesso in comodato.
Il quarto e il quinto motivo di ricorso, che attengono all’interpretazione dell’operazione negoziali, sono stati ritenuti fondati, con assorbimento degli altri. Con tali motivi si è denunciata l’erronea interpretazione delle norme sul patto marciano, e sulla validità di esso in caso in cui accede ad un patto commissorio, e dunque degli articoli 2744, 1418, 1344 c.c.
La Corte, per meglio intendere questi motivi, ha ricostruito la vicenda contrattuale, ed il modo in cui l’ha interpretata la corte di merito. In concreto, le parti hanno concluso due atti. In un primo momento hanno stipulato un atto pubblico, davanti al notaio, qualificato come di vendita, ed ivi hanno dato atto del pagamento da parte di Tizia del corrispettivo, mediante tre assegni da venti mila euro e mediante accollo della restante parte del mutuo. Con una successiva scrittura privata, le parti hanno precisato che l’alienazione che hanno concluso dal notaio era in realtà fatta a soli fini di garanzia, ossia quale assicurazione da parte di Caio del pagamento del suo debito verso il figlio di Tizia (acquirente).
I ricorrenti hanno affermato che si trattasse di una controdichiarazione dimostrativa della simulazione della vendita, ed erroneamente sarebbe stata qualificata dalla corte di appello come una scrittura integrativa dell’alienazione in garanzia. In realtà, per la Suprema Corte, l’interpretazione fatta dal giudice di merito è risultata immune da vizi. La controdichiarazione si interpreta al pari di ogni altro patto privato, e la corte ha valorizzato le espressioni usate dalle parti, ossia la dichiarazione di voler attribuire alla precedente vendita uno scopo di garanzia e non di scambio. Del resto, la controdichiarazione è tale quando espressamente asserisce la natura simulata della dichiarazione principale, mentre nel caso de quotale natura non è stata affatto affermata dalle parti che non hanno dichiarato di aver simulato la vendita davanti al notaio, bensì hanno dichiarato di averla voluta effettivamente, ma a scopo di garanzia e non di scambio. La controdichiarazione, dunque, non può essere considerata “di simulazione”, ma “di qualificazione dello scopo concreto dell’atto”.
L’argomentazione giuridica della Corte di legittimità.
La Corte di legittimità ha ritenuto opportuno soffermarsi sul rapporto, spesso frainteso, tra vendita simulata e vendita fatta a scopo di garanzia. La stessa prassi a volte utilizza indici presuntivi della simulazione (il possesso rimasto in capo all’alienante, la preesistenza di un debito dell’alienante a favore dell’acquirente, la mancata trascrizione), che in realtà sono indici dello scopo di garanzia. E’ stato considerato che quest’ultimo mira ad una proprietà momentanea in capo al creditore, e questa era in passato la ragione di autorevoli dubbi sulla circostanza che la causa di garanzia potesse essere sufficiente a sorreggere il trasferimento del diritto. Secondo quest’ultima ricostruzione, lo scopo di garanzia mira a creare una proprietà temporanea in capo all’acquirente che, in caso di adempimento del debito, è obbligato alla restituzione, e questa proprietà temporanea nient’altro sarebbe che una proprietà fiduciaria, ossia una fiducia cum creditore, non ammessa nel nostro ordinamento. E’ noto che la replica migliore a questo argomento è stata di far presente che altro è la regola della tipicità dei diritti, altro quella degli atti traslativi, e che le parti possono ben trasferire un diritto tipico e nominato (la proprietà) anche con atti atipici, come, per l’appunto, una vendita fatta a scopo di garanzia. Inoltre, la causa atipica di alienazione in garanzia non influisce sul contenuto del diritto di proprietà, nel senso di renderlo diverso da quello tipico, e ciò in quanto l’acquirente in garanzia ha tutte le facoltà di dominio proprie del proprietario, potendo disporre e godere della cosa al pari di quello; inoltre la proprietà che si realizza in capo all’acquirente non è temporanea in senso tecnico, ma è una situazione assimilabile all’acquisto sotto condizione o sotto patto di riscatto, ossia destinata a risolversi, ma nata come definitiva. Infine, gli obblighi che gravano sull’acquirente (di retrocedere il bene in caso di adempimento) non attengono alla vendita, ma derivano da un patto aggiunto che qualifica quella vendita come fatta in garanzia; ed è proprio il caso di specie, in cui le parti hanno previsto una controdichiarazione in tal senso, il che opera ad ulteriore dimostrazione della effettività dello scopo di garanzia.
Correttamente qualificata come vendita a scopo di garanzia, la corte del merito, afferma la Suprema Corte, avrebbe dovuto però tenere in considerazione la sua compatibilità con il divieto del patto commissorio, alla luce del fatto che le parti avevano cercato di evitare il contrasto con l’articolo 2744 c.c. inserendo nello schema negoziale un patto marciano. Secondo i ricorrenti il patto marciano avrebbe reso valida la stipulazione commissoria solo se fosse stato preventivamente convenuto un metodo imparziale di stima del bene, evitando che quest’ultima fosse stata affidata alla discrezionalità del creditore che avrebbe potuto dunque approfittarne. A conferma di questa tesi, la Cassazione ha citato un suo precedente (Cass. 1624/ 2015).
La parte centrale dell’argomentazione: la funzione del patto commissorio e del patto marciano e il pegno irregolare (art. 1851 c.c.) come norma eccezionale.
E’ stato chiarito perché mai se ad un patto commissorio (il creditore trattiene la cosa data in garanzia all’inadempimento del debitore) accede un patto marciano (il creditore vende la cosa, previa stima, e restituisce l’eccedenza al debitore) la pattuizione non ricade nel divieto dell’articolo 2744 c.c. Tradizionalmente si argomenta della ratiodella norma suddetta. Siccome l’opinione prevalente ritiene che la ratiodel divieto del patto commissorio stia nella tutela del debitore da approfittamenti del creditore, allora nel caso di patto marciano il rischio di tali approfittamenti è nullo; ed infatti coloro che attribuiscono al divieto del patto commissorio una ratio diversa, ad esempio la tutela della par condicio creditorum, ritengono nulla la pattuizione pure in presenza di un patto marciano tra creditore e debitore. In realtà la liceità del patto commissorio, cui accede un patto marciano, sta nell’analogia con il pegno irregolare (articolo 1851 c.c.) il quale consente al creditore che abbia ricevuto in pegno cose fungibili di appropriarsene all’inadempimento del debitore restituendo però a quest’ultimo l’eccedenza di valore (tra le cose date in pegno e l’ammontare del debito). Il patto marciano, che come è noto non è figura tipica, persegue esattamente lo stesso scopo rispetto a beni non dati in pegno ma alienati in garanzia; ossia consente al creditore di appropriarsene restituendo al debitore la differenza di valore. Non si può obiettare, inoltre, che l’articolo 1851 c.c. è norma eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica in quanto non è affatto eccezione rispetto al principio generale dell’articolo 2744 c.c., ma rispettoso della medesima ratio, anzi conseguenza di quel principio in quanto mira anche esso ad evitare approfittamenti del creditore ai danni del debitore. Tuttavia, proprio in quanto il patto marciano può consentire di evitare approfittamenti del creditore ai danni del debitore, è necessario che le parti abbiano previsto criteri di stima del bene al momento della convenzione marciana.
Il precedente della Corte (Cass. n. 1625/2015) e la risoluzione del caso.
La Suprema Corte aggiunge, ancora, che è necessario che le parti abbiano previsto “meccanismi oggettivi e procedimentalizzati che (…) permettano la verifica di congruenza tra valore del bene oggetto della garanzia, che viene definitivamente acquisito al creditore, ed entità del credito; per la stessa ragione, non avrebbe tale effetto la verifica del “giusto prezzo” al momento della conclusione del contratto” (Cass. 1625/ 2015). Più precisamente, prosegue la Corte, occorre che la stipulazione “preveda, per il caso ed al momento dell’inadempimento ossia quando si attuerà coattivamente la pretesa creditoria (cfr. art. 1851 c.c.), un procedimento volto alla stima del bene, entro tempi certi e con modalità definite, che assicurino la presenza di una valutazione imparziale, in quanto ancorata a parametri oggettivi automatici, oppure affidata a persona indipendente ed esperta la quale a detti parametri farà riferimento (cfr. art. 1349 c.c.), al fine della corretta determinazione dell’ane del quantumdella eventuale differenza da corrispondere all’utilizzatore. La pratica degli affari potrà poi prevedere diverse modalità concrete di stima, purché siano rispettati detti requisiti. L’essenziale è che risulti, dalla struttura del patto, che le parti abbiano in anticipo previsto che, nella sostanza dell’operazione economica, il debitore perderà eventualmente la proprietà del suo bene per un prezzo giusto, determinato al tempo dell’inadempimento, perché il surplusgli sarà senz’altro restituito” (Cass. n. 1625/ 2015).
Nella fattispecie queste condizioni non sono state rispettate, mancando del tutto la previsione di criteri di stima oggettivi che avrebbero assicurato la valutazione imparziale del valore del bene per il successivo momento della eventuale vendita. Né si è potuto considerare tale l’indicazione della persona del marito della creditrice, indicato come tale da farsi garante del rispetto dell’accordo, indicazione che ovviamente è talmente generica da non soddisfare le condizioni di obiettività della stima che si sono specificate.
Il principio di diritto.
Il divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c. non opera quando nell’operazione negoziale (nella specie, una vendita immobiliare con funzione di garanzia) sia inserito un patto marciano (in forza del quale, nell’eventualità di inadempimento del debitore, il creditore vende il bene, previa stima, versando al debitore l’eccedenza del prezzo rispetto al credito), trattandosi di clausola lecita, che persegue lo stesso scopo del pegno irregolare ex art. 1851 c.c. ed è ispirata alla medesima ratio di evitare approfittamenti del creditore in danno del debitore, purché le parti abbiano previsto, al momento della sua stipulazione, che, nel caso ed all’epoca dell’inadempimento, sia compiuta una stima della cosa, entro tempi certi e modalità definite, che assicuri una valutazione imparziale, ancorata a parametri oggettivi ed automatici oppure affidata ad una persona indipendente ed esperta, la quale a tali parametri debba fare riferimento.
Brevi conclusioni.
La sentenza ut supranon ha fatto altro che affrontare il tema dell’autonomia privata (rectius: negoziale), nelle sue molteplici sfaccettature, rivalutando gli istituiti di diritto civile (patto commissorio, patto marciano, pegno irregolare) attraverso un’ottica funzionale e strutturale. La Corte di legittimità ben ha inteso, nelle peculiarità del caso di specie, salvaguardare il c.d. “contenuto minimo” del contratto, ovviamente nei limiti ampiamente dettati in tema di conservazione dello stesso. Ha vagliato attentamente come il patto marciano contenuto, come specifica clausola, in un contratto, possa far venire meno la “ipotetica illiceità” e, dunque, la possibile conseguente nullità, del medesimo in quanto non posto in violazione del patto commissorio. La valutazione caso per caso e l’approccio sistematico, nonché la visione funzionalistica del diritto civile fanno avanzare interpretazioni sempre coerenti con il sistema tout courtconsiderato.
Riferimenti bibliografici, giurisprudenziali e legislativi di sistema.
Per un approfondimento sul tema, in chiave dottrinale, si consiglia la lettura dei seguenti volumi: C.M. Bianca, Il divieto del patto commissorio, ESI, 2013; G. Bausilio, Uno strumento di garanzia. Il pegno irregolare. Profili giurisprudenziali, Key editore, 2015; D. Russo, Oltre il patto marciano, ESI, 2017; N. Cipriani, Patto commissorio e patto marciano. Proporzionalità e legittimità delle garanzie, ESI, 2019.
Per un approfondimento sul tema, in chiave giurisprudenziale, si consiglia di approfondire le seguenti pronunce: Cass. civ., sez. 2, 9 maggio 2013, n. 10986 (anche per il patto marciano); Cass. civ., sez. 1, 31 gennaio 2014, n. 2120; Cass. civ., sez. 1, 8 agosto 2016, n. 16618; Cass. civ., sez. 1, 6 febbraio 2018, n. 2818 (sulla configurabilità del pegno c.d. irregolare); Cass. civ., sez. 1, 28 gennaio 2015, n. 1625 (che la sentenza in commento ha ripreso, anche relativamente al patto marciano); Cass. civ., sez. 2, 11 settembre 2017, n. 21042; Cass. civ., sez. 2, 26 settembre 2018, n. 22903 (sulle ipotesi di specie del divieto di patto commissorio).
In ultima istanza, si consiglia la lettura del volume, alquanto provocatorio, confezionato dall’Associazione Tavolo di Studio sulle Esecuzioni Italiane, dal titolo Patto marciano o patto “marziano”? Alcuni spunti critici circa l’applicabilità pratica del nuovo strumento legislativo di garanzia, edito da Youcanprint, 2017.
Dal punto di vista legislativo, per una visione sistematica, oltre ai già citati artt. 2744 e 1851 c.c., si vedano, inoltre, gli artt. 1322, 1343, 1344, 1349 c.c.
Comments