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Remo Trezza

SOSPETTI O INDIZI? (Cass. pen., n. 28559/2020)

di seguito uno stralcio della pronuncia

(a cura di Giovanni De Bernardo)

“4. (…) La sentenza impugnata, e la stessa sentenza di primo grado, hanno fondato l’affermazione di responsabilità nei confronti dell’odierno ricorrente per i furti commessi l’8 luglio 2008 nel centro commerciale (…) di (omissis) sull’elemento probatorio costituito dall’aggancio dell’utenza in uso al T. delle celle prossime al luogo ove è stato commesso il furto.

Tuttavia, la Corte territoriale non ha innanzitutto chiarito il profilo della "localizzazione" dell’utenza dell’imputato, rispondendo alle censure di genericità dell’appellante nel senso che l’utenza è stata localizzata "in zone confluenti con quella ove è stato commesso il furto aggravato ai danni del centro commerciale (…) in (omissis) ", considerando la "complessità del sistema di agganciamento delle celle".

Oltre a tale profilo, che non risulta argomentato in termini appaganti, va rilevato che l’affermazione di responsabilità è stata fondata su un elemento indiziario - la cui consistenza, come si è già rilevato, va chiarita - indiretto, dal quale è possibile desumere, sotto il profilo logico, la presenza del T. in una zona limitrofa al luogo del furto; tuttavia, si tratta di un unico elemento indiziario, che non appare suscettibile di essere riscontrato dalle "stesse modalità" del furto commesso con la tecnica dell’ariete il 15 dicembre 2007 (…).

Al riguardo, appare utile sottolineare la distinzione concettuale tra "sospetti" ed "indizi": il "sospetto" è una nozione che oscilla tra due estremi semantici, ovvero tra il significato di fenomeno soggettivo, congettura, quindi di ipotesi senza prove, o meglio, alla ricerca di prove, ed il significato di indizio equivoco, e quindi debole; comunque, il concetto connota gli elementi suscettibili di assecondare distinte ed alternative ipotesi, anche contrapposte, nella spiegazione dei fatti oggetto di prova. Al contrario, gli "indizi" sono gli elementi probatori raggiunti attraverso un ragionamento inferenziale, che partendo da un fatto noto (indizio) conduce ad un fatto ignoto (il fatto da provare - in tal caso, la partecipazione dell’imputato al furto -), in virtù dell’applicazione di regole scientifiche ovvero di massime di esperienza (…).

Tanto premesso, va rammentato che il sindacato di legittimità sulla gravità, precisione e concordanza della prova indiziaria è limitato alla verifica della correttezza del ragionamento probatorio del giudice di merito, che deve fornire una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità e non fondata su base meramente congetturale in assenza di riferimenti individualizzanti, o sostenuta da riferimenti palesemente inadeguati (…); in materia di prova indiziaria, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, se non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, costituite da giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste, può però avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo "id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilità (…).

Va, altresì, ribadito che gli indizi a fini di prova si differenziano dalle mere congetture perché sono costituiti da fatti ontologicamente certi che, collegati tra loro, sono suscettibili di una ben determinata interpretazione (…), devono corrispondere a dati di fatto certi - e, pertanto, non consistenti in mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza - e devono, ex art. 192 c.p.p., comma 2, essere gravi - cioè in grado di esprimere elevata probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto - precisi - cioè non equivoci - e concordanti, cioè convergenti verso l’identico risultato. Requisiti tutti che devono rivestire il carattere della concorrenza, nel senso che in mancanza anche di uno solo di essi gli indizi non possono assurgere al rango di prova idonea a fondare la responsabilità penale. Inoltre, il procedimento della loro valutazione si articola in due distinti momenti: il primo diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione di ciascuno di essi, isolatamente considerato, il secondo costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità. Il giudice di legittimità deve verificare l’esatta applicazione dei criteri legali dettati dall’art. 192 c.p.p., comma 2, e la corretta applicazione delle regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori (…).

Ciò posto, nel caso in esame la motivazione della Corte territoriale non risulta aver fatto buon governo delle regole interpretative e valutative dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 2, avendo posto a fondamento dell’affermazione di responsabilità un unico indizio - la "localizzazione" dell’utenza dell’imputato -, in assenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti; il coinvolgimento del T. in un furto commesso un anno prima con "le stesse modalità", invero, non può essere ritenuto un vero e proprio indizio - fatto noto e certo dal quale desumere, in via inferenziale, il fatto ignoto -, ma una mera congettura, nella sua dimensione più debole di mero sospetto, insuscettibile di per sé di corroborare la prova logica necessaria ad un’affermazione di responsabilità”.


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