di seguito uno stralcio della pronuncia
(a cura di Pamela D'Oria)
“Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 513-bis cod. pen., è necessario il compimento di atti di concorrenza che, posti in essere nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva, siano connotati da violenza o minaccia e idonei a contrastare od ostacolare la libertà di autodeterminazione dell’impresa concorrente”.
La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è riassumibile nei termini di seguito indicati: «se, ai fini della configurabilità del reato di illecita concorrenza con minaccia o violenza, sia necessario il compimento di condotte illecite tipicamente concorrenziali o, invece, sia sufficiente anche il solo compimento di atti di violenza o minaccia comunque idonei a contrastare od ostacolare l’altrui libertà di concorrenza».
Sull’ambito di applicazione del reato […] previsto dall’art. 513-bis cod. pen., e in particolare sulla interpretazione della nozione di “atti di concorrenza” […] si registrano tre diversi orientamenti giurisprudenziali.
Secondo un primo indirizzo interpretativo il dato testuale della fattispecie […] ricomprende solo i comportamenti competitivi tipici che si prestino ad essere realizzati con mezzi vessatori, ossia con violenza o minaccia nei confronti di altri soggetti economici tendenzialmente operanti nello stesso settore […].
[…] la norma incriminatrice viene ritenuta inapplicabile agli atti di violenza o minaccia non sostanziatisi in condotte illecite tipicamente concorrenziali […] Vi rientrano, pertanto, solo comportamenti quali, ad es., il boicottaggio, lo storno di dipendenti ed il rifiuto di contrattare […]
Entro tale prospettiva, dunque, il reato non è riferibile anche a colui che nell’esercizio di un’attività imprenditoriale compie atti intimidatori al fine di contrastare o scoraggiare l’altrui libera concorrenza […] poiché questa opzione ermeneutica non può essere considerata conforme al dato testuale e pone, al contempo, inevitabili problemi di violazione del principio di tassatività […]
Un diverso orientamento giurisprudenziale interpreta la norma […] in senso ampio […] poiché ciò che rileva non è tanto la commissione di tipici atti di concorrenza, quanto la realizzazione di una serie di attività violente e minacciose, che proprio per le loro caratteristiche di fatto configurano una concorrenza illecita e tendono a controllare le attività commerciali, o comunque a condizionarne il libero esercizio […].
[…] un terzo indirizzo interpretativo […] ha affermato che la condotta materiale del delitto previsto dall’art. 513-bis cod. pen. può essere integrata da tutti gli atti di concorrenza sleale previsti dall’art. 2598 cod. civ., fra i quali rientrano quelli diretti non solo a distruggere l’attività del concorrente, ma anche ad impedire che possa essere esercitato un atto di libera concorrenza […]
Assumono in tal modo rilievo sia quei comportamenti che, commessi da un imprenditore con violenza o minaccia, risultano “idonei a falsare il mercato” e a consentire l’acquisizione, in danno dell’imprenditore minacciato, di illegittime posizioni di vantaggio senza alcun merito derivante dalla propria capacità operativa […], sia le condotte contrarie ai principi della correttezza professionale, intese come “qualunque comportamento violento o minatorio” posto in essere nell’esercizio dell’attività imprenditoriale al fine di acquisire una posizione dominante sul mercato non correlata alla capacità operativa dell’impresa […] o comunque diretto ad alterare l’ordinario e libero rapportarsi degli operatori in una economia di mercato […]
Ciò posto […] deve rilevarsi come i primi due orientamenti giurisprudenziali muovano da impostazioni ricostruttive sensibilmente differenti, delineando percorsi argomentativi che in entrambi i casi giungono a soluzioni non condivisibili. […]
Prospettive di maggior interesse ai fini della corretta soluzione del quesito rimesso a questa Suprema Corte emergono, di contro, dalla valorizzazione delle implicazioni sottese alla soluzione di mediazione prospettata dal terzo dei richiamati orientamenti giurisprudenziali, là dove si propone di ridefinire la tipicità della fattispecie assegnando al compimento degli “atti di concorrenza” una rinnovata centralità nel quadro evolutivo della pertinente normativa di riferimento, sia interna che di origine e derivazione euro-unitaria […]
[…] in assenza di una definizione, anche penalistica, del concetto giuridico di “concorrenza”, l’interpretazione del sintagma “atti di concorrenza” […] deve necessariamente procedere alla luce della pertinente normativa euro-unitaria ed interna che disciplina i presupposti e le regole di funzionamento della libertà di concorrenza. […]
L’analisi della struttura della fattispecie di reato […] ne suggerisce, in primo luogo, la riconduzione all’interno di una dialettica concorrenziale, postulando, attraverso il riferimento lessicale al compimento di atti di concorrenza “nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva”, sia la qualità di imprenditore in capo al soggetto che, direttamente o indirettamente, pone in essere la condotta, sia l’esistenza di un rapporto di competizione economica nei confronti del soggetto che ne subisce le conseguenze.[…]
[…] la delimitazione dei soggetti attivi o passivi del reato non va intesa in senso meramente formale, in quanto non occorre la qualità di commerciante, industriale o produttore, ma semplicemente l’espletamento in concreto di attività che si inseriscono nella dinamica commerciale, industriale o produttiva […] a prescindere dai requisiti di professionalità ed organizzazione tipici della figura civilistica dell’imprenditore […]
Analogamente non si ritiene necessario […] che gli atti di concorrenza illecita siano diretti nei confronti dell’imprenditore concorrente, non essendo tale caratteristica espressamente richiesta dalla norma a fronte di condotte che ben possono coinvolgere anche persone diverse da quello […]
Una specifica valenza selettiva ai fini della individuazione della condotta punibile deve assegnarsi, inoltre, al contenuto e alle finalità del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice in esame, che ha introdotto nel codice penale un reato plurioffensivo orientato non solo verso la tutela di un più ampio interesse al corretto funzionamento del sistema economico, inteso come bene finale, ma anche alla protezione di un diverso interesse, da intendersi quale bene strumentale, più direttamente inerente ad una esigenza di garanzia della sfera soggettiva della libertà di ciascuno di autodeterminarsi nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva […]
La volontà del soggetto passivo della condotta di illecita concorrenza con minaccia o violenza […] viene condizionata, rispettivamente, dalla prospettazione di un male ingiusto ovvero dalla costrizione fisica a determinarsi nel senso impostogli dall’agente […]
La dialettica del rapporto concorrenziale entro cui può fisiologicamente dispiegarsi il libero esercizio dell’attività d’impresa delinea, unitamente ai contenuti del bene protetto, il contesto giuridico entro cui si inserisce, e come tale va ricostruita, la tipicità di una condotta oggettivamente distorsiva degli ordinari meccanismi di competizione economica: condotta che, in quanto illecitamente connotata dal ricorso ai mezzi della violenza o della minaccia, assume rilievo penale integrando la fattispecie incriminatrice senza che si renda necessaria la reale intimidazione del soggetto passivo ovvero una effettiva alterazione degli equilibri di mercato.
Non dissimili appaiono le implicazioni di ordine generale sottese agli esiti della elaborazione giurisprudenziale che questa Corte […] ha da tempo sviluppato con riferimento alla individuazione dei tratti differenziali della concorrenza illecita, là dove affermato che «[…] la differenza tra concorrenza lecita e concorrenza sleale […] è determinata unicamente dalla natura dei mezzi adoperati, che sono i soli rilevanti ai fini della qualificazione di un atto come atto di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598 cod. civ.» […]
Entro tale impostazione ricostruttiva, pertanto, deve inquadrarsi la scelta del legislatore operata nel disegnare gli elementi di tipicità della condotta punibile, attribuendo alla duplicità dei mezzi alternativamente impiegabili nell’esercizio delle attività economiche ivi descritte (quelli, cioè, della violenza o della minaccia) il vero tratto di disvalore penale di una condotta in sé altrimenti legittima, come l’atto posto in essere nell’esercizio di una libertà riconosciuta e tutelata dall’ordinamento. […]
È dunque il libero svolgimento delle iniziative economiche ad essere tutelato, attraverso la sanzione di comportamenti costrittivi o induttivi che possono orientarsi anche sulla libertà di iniziativa delle persone, non più solo sulle cose, come nella condotta contemplata dalla contigua previsione dell’art. 513 cod. pen. […]
L’idoneità a recare un pregiudizio all’impresa concorrente, contrastandone od ostacolandone la libertà di autodeterminazione, connota la fattispecie dell’art. 513-bis nella sua materialità, poiché costituisce un elemento oggettivo della condotta, a sua volta accompagnata dalla coscienza e volontà di compiere un atto di concorrenza inficiato dal ricorso ai mezzi della violenza o della minaccia […]
Per ulteriori pronunce degli anni 2018, 2019, 2020 iscriviti al gruppo Le Sentenze del 2019-2020 più rilevanti per l'esame di Avvocato e Magistratura
Commenti